La mafia agraria si trasforma in mafia del cemento

Salvo LimaIl massiccio processo di urbanizzazione, lo sviluppo edilizio e l'incremento del giro d'affari legato al mondo degli appalti per le opere pubbliche nel periodo della grande ricostruzione, negli anni successivi al primo dopoguerra, favoriscono la prima mutazione di Cosa Nostra, che comincia a guardare alle città come alle sedi privilegiate dei suoi nuovi e lucrosi affari. Il primo passo è il controllo dei mercati ortofrutticoli, che costituiscono il tramite tra la città e le risorse della campagna, ove la forza e la presenza mafiose sono ormai consolidate. Ma il grande affare di quegli anni è l'edilizia. Le famiglie mafiose passano rapidamente a occuparsi delle operazioni di speculazione sulle aree edificabili, dove quote rilevanti di capitali illeciti trovano facile sbocco e determinano improvvisi arricchimenti. In dieci anni, dal 1951 al 1961, gli abitanti di Palermo aumentano di centomila unità. Grazie alla complicità di una nuova classe dirigente, talvolta diretta espressione di un voto politico che nelle borgate e nelle periferie è fortemente condizionato dall'intimidazione mafiosa, le "famiglie" ottengono il controllo diretto o indiretto dei piani regolatori, del rilascio delle concessioni edilizie e della compravendita delle aree edificabili. Si impossessano - inoltre - del circuito imprenditoriale indotto: cemento, conglomerati, movimento terra, materiali per l'edilizia.Vito Ciancimino
Dal 1959 al 1964 è sindaco Salvo Lima, vicino alla mafia di Stefano Bontate; assessore ai lavori pubblici è Vito Ciancimino, legato ai "corleonesi" di Riina e Provenzano.
Sono gli anni del "sacco di Palermo", realizzato all'insegna di un tacito accordo tra mafia, amministratori pubblici e imprenditori, che diventerà molto presto un modello criminale per moltissime aree del Mezzogiorno.
E' in quegli anni che nascono numerose attività imprenditoriali sostanzialmente riconducibili a uomini d'onore o a loro parenti, congiunti e prestanome.
Attraverso l'impresa mafiosa, Cosa Nostra tenta di proporsi con un ruolo apparentemente "pulito", avviando - nei fatti - un processo di capillare infiltrazione nel tessuto economico e finanziario non solo siciliano, che negli anni a seguire produrrà effetti distorsivi di portata internazionale.
Gli interessi economici che scaturiscono dal piano di sviluppo urbanistico delle città, impongono un complessivo mutamente nei rapporti tra mafia e mondo della politica. Un rapporto che - per forza di cose - non finisce con investire tutte le attività degli enti pubblici, a cominciare dagli appalti, dalle locazioni e dalle grandi manutenzioni. Un rapporto che - come sveleranno molti anni più tardi i collaboratori di giustizia - diviene "criterio guida" per fare e disfare alleanze politiche, accordi di coalizione e formule di governo. In quest'ottica, gli enti locali e i centri di irradiazione della vita politica (il partito, la giunta comunale, provinciale o regionale) divengono terreno per gli scontri e gli accordi tra gruppi politico-mafiosi, generando una vera e propria cultura dello scambio, del rapporto permanente ed integrato tra potere mafioso e potere politico.
Gli uffici dell'Amministrazione pubblica diventano il luogo in cui si consuma la perfetta commistione tra politica, burocrazia, malaffare e criminalità mafiosa.
Il risultato è che in occasione degli appuntamenti elettorali, ogni candidato viene appoggiato da una o più famiglie del mandamento mafioso in cui ricade la circoscrizione; e all'interno di alcuni partiti - è il caso della Democrazia Cristiana - il consenso proveniente delle "famiglie" di Cosa Nostra è cosa talmente scontata e ben accetta, da indurre gli organi dirigenti del partito a disporre che in alcuni quartieri della città venga presentato un determinato candidato piuttosto che un altro.